mercoledì 8 aprile 2009

Frozen River


Ray Eddy ( Melissa Leo) viene abbandonata da un marito sottomesso ai vizi del gioco d’azzardo e lascia la sua famiglia portando con sé del denaro essenziale per pagare una casa prefabbricata. Sola con due figli a carico, con un lavoro che non riesce a mantenere decentemente la sua vita e dei figli, vive in una squallida roulotte nei pressi del confine col Canada. Il suo unico desiderio è quello di dare una vita ( e una casa ) dignitosa ai suoi figli, ma è costretta a dover cercare gli spiccioli tra i cuscini del divano per poterli far mangiare. Mentre cerca suo marito ormai introvabile, riconosce la sua macchina parcheggiata in un Bingo. La vettura però è stata “trovata” con le chiavi attaccate da Lila Littlewolf ( Misty Upham ), una vedova nativa americana che vive nella riserva dei Mohawk. Lila, per poter mantenere una figlia che le è stata sottratta dalla suocera, è costretta a rubare macchine dall’ampio portabagagli per poter trasportare gli immigrati negli Usa. Le due donne si incontreranno e si scontreranno, ma inevitabilmente si aiuteranno a vicenda, seppur lasciando una distanza di diffidenza, che nel finale verrà riempita da un altruismo commovente. Ray si inoltrerà nel mondo dell’illegalità, usando proprio la macchina di suo marito, e cercherà di appropriarsi di un sogno minacciato dalla assenza di speranze.

La storia è un dramma quotidiano, uno spaccato della realtà dell’immigrazione, del mercato nero che specula sulle tragedie personali di tutti coloro che sono obbligati a vivere l’esperienza della clandestinità, e di una famiglia che rischia di non poter passare un Natale in maniera decorosa.
Le due protagoniste si rispecchiano, benché abbiano sulle spalle esperienze diverse. Entrambe sono accumunate dalla solitudine che le costringe a dover assumere un ruolo eticamente condannabile e rischioso a livello penale. L’assenza delle figure maschili nella loro vite le obbliga a dover rivestire loro stesse tale ruolo, per potersi rafforzare e congelare ogni possibile debolezza. Questo comporta un indurimento giustificabile del loro carattere e delle loro emozioni, e si può notare dall’espressioni fredde e pietrificate(soprattutto del personaggio di Lila, la quale si mostra sin da subito dura come roccia), che non lasciano trapelare nessun tipo di calore (solo nel finale Lila si concederà un esplosione emotiva, seppur contenuta ed equilibrata, lasciando cadere qualche lacrima e mostrando un sorriso rappacificatore con sé stessi.).
L’intero film si ambienta tra distese innevate dell’estremo Canada, dove spazi vuoti e bianchi, apparentemente asettici ma che nascondono una ostilità fredda e infangata, sono lo sfondo del dramma in cui sono proiettate le due donne.
Per poter fronteggiare la crisi delle loro vite sono costrette ad attraversare il fiume ghiacciato di San Lorenzo. Il senso di fragilità del fiume crea una tensione costante e ogni volta che la loro macchina passa sul ghiaccio si ha l’impressione che il ghiaccio indebolisca sempre di più.
Il legame che unisce il destino delle due donne al fiume è indissolubile: è paradossalmente il loro inferno, una specie di Cocito (della Divina Commedia) sulla quale devono affrontare la loro sensibilità ed emotività. Annegano metaforicamente nel peccato che commettono, anche se attraverso dei gesti altruisti nei confronti di alcuni clandestini cercano un perdono illusorio. Il fiume è il palcoscenico delle conseguenze delle loro azioni.
Accanto all’ostilità del fiume c’è il pericolo rappresentato dalle autorità locali, in particolare dalla figura di . Trooper Finnerty ( Micheal O’ Keefe ) Per quanto Ray e Lila si sentono sicure del fatto che non verranno mai fermate, poiché alla guida della macchina c’è una “bianca” Ray, c’è la sensazione che la legge fiati sul collo delle due donne. Il controsenso tra cosa è giusto e cosa è sbagliato è forte, soprattutto perché si spera per tutto il film che le due donne non vengano beccate entrando in contrasto con la giustizia.
La domanda che nasce spontanea durante il film è la seguente: seppur loro agiscono partecipando a un traffico illecito di clandestino, le loro azioni sono comunque giustificabili? La risposta è relativa, e impossibile da dare.
Il denaro che ottengono è sporco ma necessario, e la paura di essere beccate dalla polizia viene affiancata dai rischi che corrono addentrandosi nell’ambiente del traffico clandestino.
La maternità è un tema portante del film. E’ la scintilla narrativa ed interiore che spinge le due protagoniste ad intraprendere quel lavoro illegale. L’amore che provano per i loro figli è l’unica certezza che hanno per poter continuare ad andare avanti, anche se tra esitazioni e dubbi. E’ anche l’unica cosa che mantiene una dignità nei loro visi e un’integrità nella loro morale.
Il rapporto tra Ray e suoi figlio Troy ( Charlie McDermott ) è conflittuale. Troy è pieno di rabbia, poichè spera in continuazione per il ritorno del padre, ma la madre costantemente gli ricorda la realtà. Inoltre cerca di assumere un ruolo adulto e responsabile, e questo entra in contrasto con la politica materna di Ray. Per quanti errori commette Troy, con le intenzioni di voler comportarsi come un adulto, la sua sofferenza e responsabilità che si sente pesare sulle spalle è tangibile.
Stilisticamente il film viene raccontato attraverso una macchina da presa incerta, che cerca di simulare il più delle volte uno stile documentaristico che esita sui volti dei personaggi e sulla desolazione dei luoghi. La macchina da presa a spalla rende più coinvolgente la sensazione di disagio che vivono le protagoniste, ma c’è una sorta di impaccio nella sua gestione.
La fotografia è quasi accecante nella sua nudità, nel suo evidenziare lo squallore di una realtà fredda e spietata.
Per quanto l’andamento del film porti con sé uno senso di perdizione e di non-ritorno, il finale ha un messaggio tuttavia positivo, che lascia un sorriso amaro.

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